Nel corso degli ultimi cinquantanni i modi, i tempi ed i luoghi della cura della sofferenza mentale sono profondamente cambiati: il movimento di deistituizionalizzazione, lo sviluppo della psichiatria di comunità, il coinvolgimento attivo del paziente e dei suoi familiari al percorso terapeutico, il riconoscimento che la psicosi non toglie dignità all’essere umano, l’individuazione e poi la produzione di nuovi psicofarmaci che all’efficacia clinica uniscono una maggiore tollerabilità e un miglioramento complessivo della qualità di vita dei pazienti, la promozione di iniziative che aiutino a superare pregiudizi e stigma hanno permesso un profondo cambiamento nella prognosi delle psicosi schizofreniche e affettive.
Se quindi sono unanimemente auspicabili interventi di promozione della salute nella popolazione generale, così come percorsi che favoriscano il passaggio da una diagnosi precoce ad un intervento terapeutico tempestivo e mirato ai bisogni della persona, associati a programmi che riducano la disabilità e favoriscano il mantenimento di un pieno diritto di cittadinanza, resta complessa l’articolazione tra progetto e realizzazione in ambito clinico in ragione della difficoltà a mantenere una visione d’insieme sul senso della sofferenza di cui il paziente si fa portatore.
In salute mentale, ogni intervento di prevenzione deve promuovere nel paziente la capacità di essere non soltanto fruitore ma, soprattutto, attore partecipe del ventaglio di risorse terapeutiche a sua disposizione: all’interno della relazione medico-paziente, una solida conoscenza della psicopatologia da parte dello psichiatra e la capacità di ascolto unite alla stabilità della terapia farmacologica favoriscono il miglioramento e la guarigione dalle psicosi, forme cliniche un tempo considerate ad andamento evolutivo cronico.
I relatori favoriranno con i loro interventi le domande dei partecipanti promuovendo l’intreccio tra conoscenze di psicopatologia, sapere sperimentale, declinazioni cliniche e approcci terapeutici di prevenzione.