I temi del conflitto e della solitudine sono quanto mai attuali per gli avvenimenti degli ultimi anni che stanno coinvolgendo il singolo e la collettività a livello personale, socio‐culturale e politico.
Il mancato soddisfacimento dei bisogni di appartenenza può portare ad una sofferenza dei sistemi che regolano l’attaccamento ed alla conseguente accensione della “spia” della solitudine, meccanismo filogeneticamente evoluto al fine di evitare il rischio di esclusione dal gruppo dei pari. La solitudine si può riscontrare come dimensione transnosografica in vari disturbi psichiatrici e può essere un fattore predisponente, precipitante, di mantenimento o un esito del disturbo stesso. Sorprendentemente poche ricerche si sono occupate di esplorare i rapporti tra solitudine e disturbi dell’alimentazione (DA): l’impressione è di essere in presenza di un modello di associazione bidirezionale che sembra variare in base al periodo di sviluppo, al sesso e al tipo di problema alimentare. Uno degli aspetti che maggiormente caratterizza i DA è la difficoltà di riuscire ad individuarsi nel rapporto con gli altri e la conseguente attivazione di manovre tese a migliorare l’autostima e l’integrazione nel sistema di relazioni nel quale viviamo. Pertanto, i DA possono essere visti sia come un tentativo disfunzionale di migliorare la propria autostima attraverso il controllo dell’alimentazione e la modificazione del peso e delle forme del corpo, sia come una difficoltà di riuscire ad integrare parti dissonanti del Sé e di sé (la ormai obsoleta contrapposizione tra mente e corpo), con la famiglia e con l’ambiente socio‐culturale, talvolta divenendo l’unico modo in cui la persona comunica il proprio dissenso a cosa sta succedendo e gli
sta succedendo. In alcuni casi, il livello d’inconsapevolezza è tale che la somatizzazione, il linguaggio del corpo, è l’unica strada possibile per dirsi che “c’è qualcosa che non va” e che merita di essere ascoltato. Il periodo adolescenziale rappresenta, non a caso, il momento ideale per catalizzare l’inizio del DA a causa delle numerose sfide maturative. La percezione di mancanza di sostegno, reciprocità, validazione può portare a vivere la transizione dall’infanzia all’adolescenza ed infine alla vita adulta come una minaccia alla propria integrità e di conseguenza a sperimentare esperienze di solitudine e conflittualità verso se stessi o le figure genitoriali. Il conflitto del resto è assolutamente necessario per passare dalla fanciullezza all’adolescenza, come pure dall’adolescenza all’età adulta ma spesso è talmente temuto come infausto, foriero di dolore e perdita, da essere evitato a costo della malattia e della morte, come avviene in alcuni pazienti affetti da DA. L’ipervalutazione del corpo e dell’aspetto portano nei DA a un costante conflitto con la propria immagine corporea che si manifesta però con un conflitto con il corpo che viene piegato al volere della mente, o per meglio dire delle convinzioni patologiche, a cui naturalmente si ribella attraverso segni e sintomi della malattia fisica e mentale. Nei DA il conflitto diviene anche impedimento alla cura poiché apparentemente, e paradossalmente rispetto ad altre patologie, gli obiettivi e le motivazioni di curanti e pazienti sono in contrasto e lavorare per trasformare l’egosintonia in egodistonia, per modificare il contrasto con i curanti/i familiari preoccupati dalla patologia in contrasto con la malattia e le sue caratteristiche sintomatologiche e psicopatologiche è quanto mai necessario e inevitabile. E anche chi si occupa di DA deve essere consapevole e preparato a lavorare in équipe multidisciplinari integrate appianando i conflitti e mettendo a disposizione la propria visione per una visione globale e condivisa. Con queste premesse abbiamo chiesto ai relatori di affrontare il tema della solitudine e del conflitto nei DA, sottolineandone l’importanza del riconoscimento e la necessità di essere fronteggiati poiché spesso rappresentano un impedimento alla cura e alla guarigione.